Carnevale nella Svizzera Italiana

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Come molte altre feste legate al ciclo invernale, anche il carnevale ha subito notevoli modifiche determinate essenzialmente dai mutamenti socio-economici che hanno interessato, negli ultimi decenni, la Svizzera Italiana: ai rituali legati alla realtà contadina d’inizio Novecento, fondati su una gestualità collettiva e profondamente simbolica, si sono sostituiti via via usi e costumi d’ambito urbano. Il carnevale, allora come oggi, costituiva un importante momento di aggregazione e di drammatizzazione dei conflitti sociali. L’azione comunitaria risulta particolarmente importante nell’ambito delle cerimonie di apertura e di chiusura del carnevale, in cui gestualità e drammaticità rinviano, per la loro stessa natura, al carattere antico, e per questo fortemente simbolico, della festa. Spettava ai ragazzi proclamare l’inizio del carnevale con questue e cortei rumorosi, che potevano tenersi già la sera della vigilia dell’Epifania: a Fusio e a Peccia le maschere giravano per le strade, entravano nelle case in cerca di un bicchiere di vino, portando con sé le catene del camino per spaventare la gente.

Le maschere tradizionali, caratterizzate per la maggior parte dalla polarità chiaro-scuro, buono-cattivo, non fanno che riprendere in chiave metaforica l’eterno conflitto tra la luce e le tenebre, tra il mondo del Bene e il mondo del Male, tra angeli e diavoli, tra il vecchio e il nuovo anno, tra l’inverno che finisce e la bella stagione che sopraggiunge, tra il mondo dei vivi e quello dei morti. In Val Bedretto, perlomeno fino ai primi decenni del Novecento, un giovane travestito da capra entrava in scena l’ultimo giorno di carnevale per misurarsi con l’uomo più valoroso della comunità. Anche in Mesolcina a un pastore spettava il difficile compito di domare una capra imbizzarrita, impersonata da un giovane coperto di pelli e con una testa di capra imbalsamata infilata sul capo. Ancora negli anni Venti del Novecento, uomini e ragazzi provenienti dalla Val Pontirone scendevano a Biasca indossando maschere realizzate con pezzi di corteccia e travestiti con rami di pino intrecciati. Anche la coppia costituita da Carnevale e Quaresima rientra nel novero delle maschere di tipo tradizionale: a Menzonio, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, la popolazione soleva assistere al contrasto tra il Carnevale, rappresentato come un diavolo nero, e la Quaresima, vecchia e vestita di bianco; si trattava di una vera e propria lotta a calci, pugni e bastonate, che si concludeva con il ricorso a un arbitro incaricato di sedare gli animi e di stabilire chi dei due contendenti dovesse sgomberare il campo. A Bedano i cortei si caratterizzavano per l’opposizione tra maschere diurne e maschere notturne. A Scareglia, una persona non mascherata impugnava un bastone con quattro o cinque campanelli sulla cima, mentre un’altra suonava il corno per annunciare l’arrivo delle maschere. A Preonzo, gruppi di giovani con il volto e le mani tinti di fuliggine annunciavano il loro arrivo guidati da un "sergente".

I ritrovi in famiglia, le veglie serali, i trattenimenti nelle case o nei locali pubblici e i balli ad essi collegati erano, e sono tuttora, uno dei divertimenti principali e più sentiti del carnevale. In passato le occasioni di svago erano poche e il ballo era un tipo di divertimento che dal punto di vista organizzativo non richiedeva grandi preparativi e nemmeno grandi investimenti. Il teatro era un’altra tipica espressione del carnevale borghese; a partire da S. Stefano, giorno d’inaugurazione della stagione teatrale, cartelloni e volantini annunciavano commedie e scherzi comico-musicali. Nell’Ottocento a Bellinzona si recitava nelle sale degli alberghi (famoso il salone dell’Albergo del Cervo, considerato il più elegante) e di altri ritrovi e, a partire dal 1847, al →Teatro Sociale. A Lugano, dopo la demolizione del vecchio →Teatro Sociale, avvenuta nel 1889 dopo più di ottant’anni di attività, per qualche tempo si allestirono spettacoli nel salone del Palazzo Civico, all’Albergo Walter e, sia pure in modo irregolare, nelle varie birrerie della città. In seguito, a cavallo tra Ottocento e Novecento, con la costruzione del →Teatro Rossini, Lugano TI nel 1892 (poi demolito nel 1896) e del →Teatro Apollo, inaugurato nel dicembre del 1897, per vari decenni la città di Lugano si distinse per le stagioni teatrali più belle e più vivaci del Cantone, dal punto di vista culturale e mondano.

Nei villaggi di campagna si davano recite curate, in genere, dalle filodrammatiche locali. A Sessa, le rappresentazioni dei "Misteri", tratti dalla storia sacra o dalle leggende dei cavalieri, dei re di Francia e dei crociati, costituivano nell’Ottocento una delle attrazioni principali; famosa la compagnia di Banco di Bedigliora (→Teatro Perepè), che propose per diversi decenni (1897-1952) un repertorio di tutto rispetto: tra le rappresentazioni più importanti allestite durante l’anno vi erano quella di Capodanno, quella del 2 febbraio, in occasione della festa della Madonna di Banco, e quella della domenica grassa. Nella stessa epoca, a Bedano, gruppi di giovani davano rappresentazioni teatrali di vario tipo seguite da feste da ballo, a cui partecipavano spettatori provenienti dai paesi circonvicini, dalla Capriasca e talvolta anche da più lontano. A sua volta il teatro delle marionette e dei burattini, attestato a partire dal primo Ottocento e avversato più volte dai moralisti, allietò per anni il pubblico infantile.

Secondo un’usanza importata dall’Italia settentrionale, dove questa pratica era ed è ben consolidata, in diverse località della Svizzera Italiana si procede all’incoronazione di un finto re, sovrano di un breve, burlesco reame. È la città di Lugano a dotarsi per prima di un re di carnevale, che nel 1873 si fa promotore e patrocinatore delle attività legate alla settimana grassa, annunciate fra l’altro da un ricco programma. Due anni più tardi è la volta di Bellinzona, che nel 1875 incorona "Re Rabadan I, re della baldoria".

Verso la fine dell’Ottocento, con l’avvento dell’industria e del commercio e con le trasformazioni sociali che ne conseguono, il carnevale assume gradatamente forme e rituali sempre meno legati alla realtà contadina. Il corteo mascherato rientra nelle feste moderne e diversificate che vedono la luce proprio in questo periodo. Elementi fondamentali e irrinunciabili dei cortei sono il baccano, la musica e, non da ultimo, la satira, che si concretizza con i carri allegorico-umoristici. Nel 1875 la Società del Rabadan di Bellinzona inaugura la tradizione delle sfilate, che rievocano umoristicamente fatti e figure della vita quotidiana e che vengono completate con i carri satirici e allegorici solo a partire dal 1923. Le sfilate si fanno poi sempre più numerose, fino a diffondersi in tutto il territorio. Prendono così avvio analoghe manifestazioni nei centri maggiori come Lugano (sede per diversi decenni di uno spettacolare corso mascherato), Biasca, Chiasso, e in alcuni villaggi con una spiccata tradizione carnevalesca (a Tesserete il primo carnevale organizzato risale al 1901).

Anche la musica occupa uno spazio importante nell’ambito dei festeggiamenti carnevaleschi. Le mascherate di un tempo procedevano scortate da un pifferaio, da un fisarmonicista, da un violinista o da una banda di suonatori; i giovani percorrevano le strade del paese facendo baccano con campanacci, corni, sonagli, latte di petrolio vuote, tamburi; bussavano alla porta di ogni famiglia, introducendo la richiesta con una strofa, che poteva essere, a seconda della situazione, augurale o minatoria. Oggi, soprattutto nell’ambito dei cortei allegorici, contribuiscono al baccano generale le bande stonate, sorte sul modello delle Guggenmusik svizzero-tedesche, che si erano esibite per la prima volta nel Ticino nel 1954. Risale al 1959 la creazione della prima banda stonata ticinese, i "Ciòd Stonaa" di Bellinzona, seguita da altri complessi (oggi se ne contano una ventina), fra cui la "Fracassói Ceròtt Band" di Biasca (1971), la "Sciürü Band" di Gorduno (1975), la "Sonada balòssa" di Bellinzona (1982), la leventinese "Sbodaurécc" (1985).

L’uso di accendere un falò o di bruciare un fantoccio per congedare definitivamente il carnevale era un tempo ben diffuso (una prima attestazione sembra risalire al 1465) ed è documentato per le nostre regioni per lo meno fino agli anni del secondo dopoguerra (a Brissago, invero, l’usanza di bruciare il fantoccio di carnevale è tuttora viva: il pupazzo viene confezionato dalle donne, mentre l’incarico di portarlo in giro per le frazioni spetta a un uomo); a Caviano, invece, dopo aver preparato un pupazzo vestito e ornato di tutto punto, giovanotti e ragazzi si recavano in processione come se si trattasse di un funerale e, una volta raggiunto il confine con l’Italia, buttavano il pupazzo in un riale.

A Peccia il fantoccio di carnevale veniva rimpiazzato da una persona che si metteva a disposizione per l’occasione. La cerimonia aveva inizio con il processo a Carnevale: alcuni giudici seduti a tavolino con l’occorrente per scrivere davano il via al processo, mentre un araldo a cavallo bandiva gli ordini e un medico attendeva di prestare la sua opera. A festeggiamenti inoltrati compariva una figura spettrale, magra, vestita di nero: la Quaresima, che avanzava lenta e impietosa, mentre sul Carnevale si avventavano, rabbiosamente, tutti quelli che fino a poco prima lo avevano acclamato; maltrattandolo in mille modi lo respingevano, finché insultato e percosso da ogni lato, egli cadeva a terra, dove uno della compagnia fingeva di ucciderlo con un colpo di pistola.

Bibliografia

  • Mario Agliati, Il teatro Apollo di Lugano, Lugano, Istituto Editoriale Ticinese, 1967;
  • Francesca Cappelletto, Il Carnevale: organizzazione sociale e pratiche cerimoniali a Bagolino, Brescia, 1995;
  • Sigismondo Gaggetta, 1863-1963: centenario della Società Rabadan Carnevale di Bellinzona, Bellinzona, Leins & Vescovi, 1963;
  • Giorgio Galli, Lugano nella cronaca del tempo, Porza, Editoria "La Porziana", s.d. (ma 1980);
  • Piercarlo Grimaldi, Il calendario rituale contadino, Milano, Franco Angeli, 1993;
  • Plinio Grossi, Il biscione mascherato, Bellinzona, Salvioni, 1988;
  • Arturo Lancellotti, Feste tradizionali, Milano, Società editrice libraria, 1950-1951;
  • A Mattei, Il carnevale di Biasca: realtà e tradizione (tesi di laurea presentata all’Università degli studi di Bologna), anno accademico 1982-1983 (dattiloscritto);
  • Giuseppe Cesare Pola Falletti Villafalletto, Associazioni giovanili e feste antiche, Milano, Bocca, 1939-1943;
  • Vocabolario dei dialetti della Svizzera Italiana, vol. 4, pp. 126-71 (alla voce "carnevaa").


Autrice: Giovanna Ceccarelli



Fonte:

Ceccarelli, Giovanna: Carnevale nella Svizzera Italiana, in: Kotte, Andreas (a.c.): Dizionario teatrale Svizzero, Chronos Verlag Zurigo 2005, vol. 1, pp. 343–345.